La pipiedda è una pupattola creata con due pezzetti di tela bianca o plasmata con la cera che ha sembianze femminili e non rientra certo, come ci aspetta fra le richieste che vengono effettuate ad un’agenzia funebre a Roma come Cattolica San Lorenzo ma bensì una tradizione dei riti funebri della Sardegna.
Nella Sardegna antica, la morte e la superstizione erano estremamente legate. Tra i riti che accompagnavano le cerimonie funebri isolane, c’è appunto, quello de “sa pipiedda” che rappresenta la compagna del defunto che tenta di ingannare la morte. Detta anche “pizzinnedda”, questo, era uno degli oggetti che si trovavano nel corredo funerario del defunto per accompagnarlo nell’aldilà e “consolare il morto”.
La sua importanza
La bambolina veniva confezionata in segreto da un parente e poi nascosta dietro la schiena oppure sotto le ascelle del defunto confortandolo nel mondo dei morti in modo che la sua anima non avrebbe più voluto tornare indietro.
Questa pratica, molto diffusa nell’entroterra isolano, benché oggi sia ormai perduta, è ancora ricordata. In Barbagia, per esempio, nel caso di morte a breve distanza di due membri della stessa famiglia c’era la credenza che la seconda morte dipendesse direttamente dalla prima: infatti, il primo defunto, sarebbe tornato per prendere con sé il secondo. In questo modo, per scongiurare un’altra perdita, si preparava la piccola compagna dell’aldilà. La bambola doveva essere alta circa dieci centimetri e assomigliava molto alle più conosciute “pipias de istrazzu”, con cui giocavano le bambine nel secondo dopoguerra. In alcuni casi, al posto della tela bianca, si impiegava la cera plasmata in un oggetto simile più ad una croce. Quando era pronta, “sa pipiedda” prendeva posto assieme alla salma, in segreto, prima che la bara venisse chiusa. In tal modo si cercava di ingannare la morte e il defunto che, soddisfatto, non sarebbe più tornato tra i vivi.
Le testimonianze sull’antica usanza si trovano in particolare in Baronia, a Orgosolo e Orotelli ma pure a Bitti in cui la pupattola si preparava con la cera ed era conosciuta come “sa pizzinneda ’e chera”, oppure con delle stoffe di lino se era “sa mummiedda”. Alcune volte c’erano ben due “pipieddas” per una maggiore sicurezza.
I ritrovamenti
Tale rito funebre aveva un’importanza particolare e ha gettato luce su delle scoperte archeologiche del Neolitico. Degli studiosi, infatti, trovano nella compagna del defunto una copia delle statuette femminili ritrovate, vicino all’inumato, in varie sepolture ipogeiche dell’isola sarda, molto spesso identificate con la Dea Madre. “Sa pipiedda” permette di dare a questi ritrovamenti un significato nuovo: non più quindi figura divina e sacra, bensì un semplice dono che rende più confortevole la vita ultraterrena. Quindi, pare che l’usanza sia vecchia di millenni e si sia protratta sino ai nostri giorni tramutatosi quindi in un rito di scongiuro contro la morte.